di Lello Montuori e Mariangela Calise per KAIRE.
Chissà cosa resta di quella iniziativa di tante donne coraggiose – sopravvissute all’immane tragedia della Seconda guerra mondiale – che nel settembre del 1944 crearono a Roma l’UDI, Unione Donne in Italia e organizzarono l’8 marzo 1945, la prima giornata della donna nelle zone dell’Italia libera, mentre a Londra veniva approvata e inviata all’ONU una Carta della donna con richieste di parità di diritti e di lavoro.
Chissà quale ne era lo spirito, quando dall’8 marzo 1946 la Festa della donna fu celebrata in tutta l’Italia e vide la prima comparsa del suo simbolo, l’odorosa mimosa che fiorisce proprio nei giorni di marzo.
Chissà se in quegli anni difficili, con la seconda guerra mondiale appena finita, le donne italiane ripensarono all’8 Marzo del 1917 quando a San Pietroburgo le donne russe d’ogni ceto e condizione, guidarono una grande manifestazione per la fine della prima grande guerra – definita dall’inascoltato Benedetto XV un’ inutile strage – in cui molte di essere avevano perso mariti, padri, figli, fratelli, amici e con essi gli affetti più cari.
O piuttosto chissà se pensarono invece all’inizio della grande rivoluzione russa, quella che doveva portare a tutte il sogno del paradiso in terra e invece finì poi nell’incubo della liberticida società comunista.
Chissà cosa c’era nella testa e nel cuore di quelle donne, contadine, operaie, madri e sorelle colte oppure analfabete, ascoltate oppure discriminate, forti e coraggiose ma anche femminili e sognatrici, nel bel mezzo di un secolo tragico per gli uomini e le donne di ogni paese.
Non resta che l’eco di quelle giornate, di ideali, di lotta, di diritti richiesti, eppure ancora per lungo tempo negati.
Su di esse forse aleggiava ancora lo spirito di figure di donne ammirate da Rosa Luxemberg a Clara Zetckin che, agli inizi del secolo, nell’Internazionale socialista avevano posto le basi della questione femminile e del suffragio universale alle donne.
Ma c’era, forse, molto altro ancora.
La rivendicazione di un ruolo per l’altra metà del cielo, nella società e nelle istituzioni, nella famiglia e nel lavoro, in città e campagna, nelle fabbriche e a casa.
Cos’è oggi a distanza di un secolo, da quegli avvenimenti carichi di tensione ideale e forse di pathos, la festa della donna?
L’ho chiesto ad una amica con cui condivido molte riflessioni sull’oggi senza pretesa di esser nel vero, una donna impegnata nella professione di avvocato e nella società, una persona a me cara che – a mio parere – non ha rinunciato ad una femminilità anche più ricercata pur non incarnando l’icona femminile – forse cara ad alcuni – di angelo del focolare.
Avv.Mariangela Calise: “Non è una riflessione semplice quella che mi viene chiesta; la festa della donna nel mondo occidentale, dove normativamente non esistono diseguaglianze di genere e dove – ad esempio – la stessa Commissione Europea è impegnata in tutte le sue politiche a promuovere pari indipendenza economica per le donne e gli uomini, parità di retribuzione per un lavoro di uguale valore, parità nel processo decisionale, dignità, integrità e fine della violenza nei confronti delle donne, uguaglianza di genere anche fuori dai confini dell’UE, induce gran parte dell’universo femminile a considerare l’8 marzo quasi come un giorno della memoria anziché uno spunto sempre attuale.
E’ questo generalizzato e indotto falso senso di sicurezza circa una presunta e garantita parità di genere, il più grande nemico delle donne perché, al netto dei proclami e delle leggi, restano ancora disparità tra donne e uomini sul mercato del lavoro e le donne continuano a essere sovrarappresentate nei settori scarsamente retribuiti e sottorappresentate nelle posizioni decisionali”.
Lello Montuori: C’è ancora un problema di ruoli, nella società e nella famiglia?
Avv. Mariangela Calise: “Rispondo citando Natalia Aspesi: «Il destino delle donne non è fare figli, ma vivere» e si badi bene, con questo non deve intendersi che la maternità sia nemica della libertà femminile, ma semplicemente che, ancora oggi, molte donne pagano dazio al pregiudizio che la loro esistenza sia connaturata alla funzione riproduttiva e a tutto ciò che ne consegue. La donna che tradisce la figura retorica (ruolo) dell’angelo del focolare per seguire altri interessi e altra realizzazione, nel sentire comune – soprattutto femminile – rinnega la propria natura. Ecco, finché il destino della donna, le sue scelte e il suo posto nella società non sarà percepito come qualcosa del tutto indipendente e neutra rispetto al genere, come accade per l’uomo, non potremo parlare di pari dignità della donna, né nella professione, né nel ruolo familiare.”
Lello Montuori: Eppure oggi le donne sono ovunque, anche in posizioni di vertice.
Avv. Mariangela Calise: “Non lasciamoci ingannare. Le (poche) donne che in Italia occupano posizioni apicali fanno notizia per essere inusuali almeno quanto un presidente nero per gli Stati Uniti, ed in ogni caso ad esse fanno da contraltare milioni di donne che, a parità di titoli, faticano ad entrare nel mercato del lavoro e ove occupate, sono spesso sottopagate rispetto ai colleghi uomini.
L’offensiva leggerezza con cui si affronta l’argomento è testimoniata dal ricorso, ad esempio, alle c.d. quote rosa (norme volte a tutelare la parità di genere all’interno degli organi rappresentativi, garantendo alle donne un numero di posti riservati all’interno delle liste elettorali) che in assenza di una politica che crei le condizioni, anche e soprattutto culturali, di un effettivo riscatto femminile, lanciano un messaggio diametralmente opposto rispetto alle intenzioni; con la riserva di posti si rimarca una differente possibilità di accesso delle donne in politica che presta il fianco ad essere interpretata come inattitudine della donna e non come vizio culturale dell’intero apparato. Insomma c’è ancora da lavorare per festeggiare. Il mio augurio per le donne è che l’8 marzo possa davvero diventare il giorno della memoria, ma di un percorso di conquiste portato a definitivo compimento.”
La festa della donna per me che ho fatto l’intervista
Lello Montuori.
No. Non indulgerò ad un’inutile ricerca di senso per un evento che lo ha avuto e per me oggi non lo ha più.
Con tutto il rispetto per chi, ancora oggi, fa festa.
Perché? Semplicemente perché non credo alle Feste. Mi piace commemorare eventi di storia civile. Il lavoro, la Repubblica, la Costituzione perfino. Ma non amo la Festa dei nonni, né quella della mamma, né quella del papà. Trovo anzi queste feste dannose. Innalzano nuovi laicissimi totem nel calendario già affollato delle feste liturgiche, molte delle quali già snaturate di loro.
Commemorazioni civili e religiose che non hanno più senso, accomunate, come sono, da una patina che le rende commerciali, talvolta volgari.
No, se fossi una donna non festeggerei l’8 Marzo.
Lascerei gli odorosissimi rami di mimosa sugli alberi, augurandomi un giorno in cui le donne, amiche, confidenti, compagne, mogli, madri, sorelle, possano contare su uomini capaci di essere uomini, amici, confidenti, compagni, mariti, figli e fratelli, all’altezza di loro.
Sarebbe un gran bel giorno.
Anche senza festa.