Il rischio di eccedere in teologie troppo complicate. La gioia che deve accompagnare la Confessione, cioè la consapevolezza di essere stati perdonati da Dio. L’immagine del Buon Samaritano come sintesi della «dinamica della misericordia». Il Papa sceglie l’omelia della Messa del Crisma, in cui i sacerdoti rinnovano le promesse fatte il giorno dell’ordinazione, per spiegare il modo in cui il Signore va in cerca dell’uomo. E parla di un Dio che eccede in una «misericordia sempre più grande».
Innanzitutto nell’andare incontro a chi sbaglia, come il Padre della parabola del Figliol prodigo, «perché la misericordia – sottolinea Francesco – restaura tutto e restituisce le persone alla loro dignità originaria». Ma Dio eccede anche nel «perdono stesso», ci fa passare «direttamente dalla vergogna più vergognosa alla dignità più alta senza passaggi intermedi». Il contrario dell’atteggiamento dell’uomo che «quando si vergogna del peccato si nasconde a va a testa bassa» mentre se viene elevato a qualche dignità «cerca di coprire i peccati» e ama «farsi vedere, quasi pavoneggiarsi».
Ecco allora l’importanza di mantenersi sempre in «quella sana tensione tra una dignitosa vergogna e una dignità che sa vergognarsi». Ecco, soprattutto, la necessità di identificarsi, come sacerdoti «con quel popolo scartato che il Signore salva» ricordandosi delle «innumerevoli moltitudini di persone povere, ignoranti, prigioniere, che si trovano in quella situazione perché altri li opprimono». Ma ricordiamo anche – aggiunge il Papa – «che tante volte siamo ciechi, privi della bella luce della fede, non perché non abbiamo a portata di mano il Vangelo, ma per un eccesso di teologie complicate. Sentiamo che la nostra anima se ne va assetata di spiritualità, ma non per mancanza di acqua viva – che beviamo solo a sorsi –, ma per un eccesso di spiritualità “frizzanti”, di spiritualità “light”».
«Ci sentiamo prigionieri – denuncia ancora il Pontefice – non circondati, come tanti popoli, da invalicabili mura di pietra o da recinzioni di acciaio, ma da una mondanità virtuale che si apre e si chiude con un semplice click». Detto in altro modo «siamo oppressi, ma non da minacce e spintoni, come tanta povera gente, ma dal fascino di mille proposte di consumo che non possiamo scrollarci di dosso per camminare, liberi, sui sentieri che ci conducono all’amore dei nostri fratelli, al gregge del Signore, alle pecorelle che attendono la voce dei loro pastori».
Di qui la necessità di guardare a Gesù che «viene a riscattarci, a farci uscire, per trasformarci da poveri e ciechi, da prigionieri e oppressi in ministri di misericordia e consolazione». Lui il Signore, radice, meta, maestro, modello, da celebrare, soprattutto in questo Anno giubilare con «tutta la gratitudine di cui è capace il nostro cuore» pregandolo perché «si ricordi sempre della sua misericordia».
Riccardo Maccioni per Avvenire