Mons Nunzio Galantino ha scosso le coscienze degli oltre 750 partecipanti al convegno diocesano. Interminabili applausi hanno più volte interrotto il suo intervento. La forza del vescovo nel saper annunciare il vangelo con gioia, con determinatezza, con animo sincero. Al termine un lungo e caloroso applauso ha ringraziato il segretario della Cei nell’averci donato un discorso che l’isola si aspettava da tanto tempo.
Mons. Nunzio Galantino, Vescovo di Cassano all’Ionio e Segretario Generale della CEI, ha donato a tutti noi, nella seconda giornata del Convegno Diocesano, una splendida testimonianza e riflessione sulle sfide della nuova evangelizzazione in Italia a partire dall’Esortazione Apostolica Evangelii Gaudium di Papa Francesco. Mons. Galantino ha fatto accenno anche alla sua recentissima visita in Iraq, dove si è recato a nome della CEI per testimoniare la prossimità e la vicinanza della chiesa italiana al dramma sofferto da centinaia di migliaia di cristiani: “Beati i perseguitati: questa frase si è caricata di volti molto concreti per me. Proprio in questi giorni nei campi profughi nel kurdistan iracheno tanti uomini e donne mi hanno detto: ‘noi siamo qui perché non vogliamo rinunciare alla nostra fede’; e ancora: ‘dite al Papa che noi gli vogliamo bene e che non abbiamo abbandonato mai il Vangelo’. Poi un riferimento anche alle presunte contrapposizioni interne alla Chiesa ritornate in auge negli ultimi giorni del Sinodo dei Vescovi: “Papa Francesco in questo momento non sta facendo altro che tirare le conseguenze di quello che Papa Benedetto, Papa Giovanni Paolo II e Papa Giovanni XXIII hanno fatto e detto, quindi stiamo ben attenti a questa tentazione di alcuni di voler mettere Papa Francesco contro Benedetto XVI: secondo me chi fa questo è solo perché vuole darsi un diversivo e non vuole sporcarsi le mani in quello che Papa Giovanni Paolo II e Papa Bendetto ci hanno detto e che Papa Francesco ci sta facendo vedere incarnato nell’enciclica dei gesti di ogni giorno. Fin quando si scrivono encicliche teologiche tutto va bene, ma quando l’enciclica è enciclica dei gesti questo scomoda, ma c’è chi ha bisogno per forza di creare schieramenti, e divisioni e alternative che non sono segno di nessuna ecclesialità. Non è che oggi difendendo Papa Benedetto contro Papa Francesco si è più cattolici degli altri. Stiamo attenti perché anche in questi giorni c’è chi pensa di potersi autoproclamare difensore della dottrina della Chiesa mettendo un Papa contro l’altro! Ma sapete perché il Padreterno ci ha mandato Papa Francesco? Perché noi eravamo ottusi, queste cose già ci erano state dette e allora Dio ci ha mandato uno che queste cose le fa e che quindi non possiamo interpretare a modo nostro. Non è possibile continuare a porre gesti, parole, atteggiamenti che poi di fatto dividono la Chiesa e che trasformano queste realtà in piccole combriccole che si autorigenerano! L’Evangelii Gaudium ci mette in contatto con quello che già hanno detto tutti i Papi. C’è un filo rosso che possiamo scorgere se siamo attenti e non ci facciamo prendere da questa mania di essere “Chiesa delle casacche” , ma bensì Chiesa di Cristo. Guardiamo dunque all’Evangelii Gaudium non come un voltare pagina della Chiesa ma come un’opportunità stupenda”. Certe volte la difficoltà più grande sta al nostro interno; mons.Galantino ci ha messo in guardia da un eccessivo pragmatismo che rischia di creare tanto svuotando nello stesso tempo la fede: Prendiamo quanto di bello ci sta dicendo Francesco: noi come cristiani dobbiamo essere delle’ persone anfora e dei costruttori di tenda’, gente che quando vive e fa una proposta non la ritiene una realtà senza la quale non ci si può salvare ma accoglie il senso della provvisorietà. La prima sfida nasce da noi stessi, dal nostro modo di essere e di stare in questo nostro mondo. In questa realtà non dovremmo soltanto omologarci ma dovremmo capire quale aria stiamo vivendo. Se siamo onesti riconosciamo che oggi si vive nella pretesa di vivere in un’oasi dorata piuttosto che da pellegrini nel deserto. Gli atteggiamenti virulenti nascono nella testa di chi pensa che nessuno possa toglierci la sedia da sotto al sedere. C’è qualcuno che per difendere la propria posizione è disposta a tutto e si è pronti a tutto senza capire che la prima sfida sta dentro di noi e che non possiamo trasformare il nostro mondo in quello che non è: un’oasi dorata che non esiste. E una prima conseguenza di questi atteggiamenti è il rifiuto del sentirsi legati al passato nel senso più nobile della parola, il rifiuto di sentirsi generati: la storia della Chiesa, la mia storia non comincia da me né con me, è legata ad un’altra realtà ma che non può essere riproposta tale e quale. Alcuni dicono: se tanti si sono fatti Santi comportandosi in questo modo, vestendosi così, dicendo la Messa in quella maniera, vuol dire che anche oggi si può fare. Non c’è assurdità culturale più grave di questa: pensare che certe realtà perché hanno funzionato prima debbano funzionare anche adesso!”. L’autoreferenzialità sembra essere, secondo mons. Galantino, la vera, triste, caratteristica dell’uomo moderno: “Molti vivono pensando che tutto di sé debba essere controllabile: dal numero delle calorie a quello delle smagliature, dalle ore dello svago a quello delle relazioni e degli affetti, tutto deve essere programmato: e se ciò diventa difficile per l’oggettiva complessità del mondo che ci circonda allora si tende a schermarsi, a tenersi a debita distanza dalle situazioni complesse, ma la complessità non va fuggita, va abitata con intelligenza e libertà interiore. Questa oscillazione tra l’inseguire le possibilità senza precludersene nessuna e la rigida definizione di un programma di vita, crea in qualche caso davvero degli scompensi, tanto più quanto questo avviene nella comunità cristiana. Purtroppo l’elemento che meglio caratterizza l’uomo contemporaneo è l’autorefenzialità, il non voler crescere insieme agli altri e questo anche nella Chiesa. Certe volte alcuni fenomeni che si verificano nelle nostre Chiese si possono vincere solo con una preghiera autentica, chi non prega si crea i propri schemi, chi prega schemi non ne ha perché ogni giorno si lascia sconvolgere dai piani di Dio e non vive atteggiamenti di chi non si misura con niente o con nessuno se non con la propria autoreferenzialità. Il contesto nel quale ci muoviamo è gravido di sfide anche per la Chiesa, non siamo in un mondo dove giocare solo in difesa, ma per andare all’attacco bisogna saper capire le sfide che interpellano il senso della nostra fede.”.
Spesso, ci ha ricordato il segretario della Cei, è proprio la nostalgia del passato a condannarci ad un infelice presente: “Il Cristianesimo antropologico è tramontato un po’ dovunque, chi fra noi sacerdoti non ricorda come la Chiesa fosse il centro dei nostri paesi, ma oggi di tutto questo rimane poco o niente, paradossalmente resta in molti una nostalgia di un passato idealizzato e forse mai conosciuto che ci fa vivere il presente con amarezza, chiusura e tristezza. Se dovessi descrivere con un’ immagine biblica la situazione di molti uomini contemporanei sceglierei quella della moglie di Lot, che voltandosi indietro diventò una statua di sale. Di fatto si tratta di una prospettiva davvero paralizzante; ce ne accorgiamo principalmente noi Sacerdoti che spesso sono colpevoli di un attivismo sterile: si moltiplicano le iniziative, facciamo le catechesi a tutti e saranno anche fondamentali ma attenzione perché qualche volta diventano segno di una sorta di isterismo collettivo che ci ha presi, quindi si moltiplicano le iniziative ma non c’è più tempo di restare né con noi né con il Signore, nella vana tensione a riportare le cose come erano, quando la Parrocchia si identificava con il territorio ed i suoi abitanti. Allora attenzione al pericolo di diventare statue di sale che se non si sciolgono nel mare della storia e della propria storia diventano pericolose. Senza giudicare le buone intenzioni e la generosità di molti di noi dobbiamo riconoscere che lungo la strada si più che risultati si raccolgono frustrazioni e risentimenti e si rimane vittime della tristezza individualista che trasforma i credenti in cristiani che sembrano avere uno stile di Quaresima senza Pasqua. La realtà più buia verso la quale possiamo dirigerci, ci avverte Papa Francesco, è quel grigio pragmatismo della vita quotidiana della Chiesa, nel quale tutto apparentemente procede nella normalità mentre in realtà la fede si va perdendo e degenerando nella meschinità; dobbiamo essere attenti al mondo in cui viviamo, che non vuol dire sposarne le logiche, ma sapere che questa è la terra nella quale il Signore ci ha messo questa è la cultura nella quale lui ci ha collocati, e noi dobbiamo saper additare questa storia non con risentimento, non necessariamente volendo capovolgerla ma standoci dentro portando la bellezza ma anche la fatica del vangelo. Si diventa cristiani fuori corso quando non accettiamo di vivere in questo mondo, in questa storia. Diventiamo irrilevanti quando non prendiamo sul serio la storia in cui ci ha collocati il Signore”. Papa Francesco, ha sottolineato il presule calabrese, ci sfida a passare da una pastorale di conservazione a un permanente atteggiamento di missione: “Si può fare questo quando si è veramente tenda di campo, quando i pioli con le quali fissiamo la tenda sono quelli che facilmente si tolgono perché sappiamo che c’è da andare un poco più avanti, quando non ci costruiamo le tende che sono peggiori di un palazzo, perché tante volte siamo molto bravi a fare questo, costruiamo realtà maestose che non sono lo specchio della nostra vera realtà, un po’ come si fa con le vesti liturgiche che hanno dei significati straordinari ma sono diventati così obsoleti alcuni, costano così’ tanto che sono la contraddizione di quello che dovrebbero significare! E così per esempio tanti diaconi che vengono ordinati dimenticano che la stola altro non era che quella corda che permetteva di tenere unita la veste lunga per poter meglio servire, e quindi comprano le stole più costose e più imponenti, perché quanto più costano più uno è importante. Su questo sfondo va collocata la proposta di Papa Francesco che può essere fatta soltanto da chi ha questa consapevolezza che noi siamo una tenda da campo e costruttori di tende, cioè gente che ha sposato con Cristo questa voglia di essere in cammino continuamente e che sa bene che anche certe realtà esterne devono essere coerenti con la nostra natura e la nostra logica, altrimenti sono una contraddizione che saranno belle ma non servono ad altro se non ad alimentare la nostra immaginazione e ad allontanarci ancora di più dalla realtà!”. Ovviamente questa proposta può risultare affascinante ma anche ricca di avversità: “la proposta di Papa Francesco è esigente perché domanda la fiducia del cuore e della mente perché impedisce di trovarsi davanti ad un pragmatismo sterile, c’è tanta sete di Dio e rispetto a queste seti c’è bisogno di ‘persone anfora’ che sanno attingere e danno da bere agli altri. Un eccessivo clericalismo mantiene i laici ai margini delle decisioni ma dice il Papa che il clericalismo è un tango che si balla in due, se sta bene al prete sta bene anche ai laici!”
La conclusione è un accorato appello a vivere allora questa dimensione missionaria permanente: “Chiesa tenda da campo significa con quale linguaggio si parla oggi. La conversione pastorale parte da noi anche attraverso il linguaggio, semplificare dunque la proposta senza che questo comporti un perdere profondità e verità. La mia vita deve esser bella e deve provocare l’altro e io devo poter dire che la mia vita è tale perché ho incontrato Cristo. Noi non vogliamo dare agli altri un pacco già confezionato ma provocare domande. Molte volte le sfide del mondo in cui viviamo sono sfiancanti ma bisogna saperci star dentro in questo mondo e non trincerarsi, e quando si vive così e con la preghiera fatta di ascolto e dialogo con il Signore allora possiamo avere il coraggio di ‘abbassare le difese e aprire porte’ e la Chiesa non sarà una dogana ma una casa aperta a tutti!”.
di Francesco Schiano