Omelia alla S. Messa del Crisma
2 aprile 2016
Carissimi fratelli e sorelle,
con non poca trepidazione mi trovo oggi per la seconda volta a presiedere per voi e a condividere con voi la santa Messa crismale: Eucaristia davvero unica nell’Anno Liturgico! Essa si colloca in prossimità dell’annuale celebrazione del Cristo morto, sepolto e risuscitato: dal mistero pasquale, cuore e centro dell’intera storia della salvezza, scaturiscono i sacramenti e sacramentali che significano e realizzano l’unità organica di tutta la vita cristiana.
La Messa crismale – una delle principali manifestazioni della pienezza del sacerdozio del Vescovo e un segno della stretta unione dei presbiteri con lui – è quasi un’epifania della Chiesa, corpo di Cristo organicamente strutturato, popolo pellegrinante nel mondo, che nella varietà dei ministeri e carismi esprime, per la grazia dello Spirito, i doni nuziali di Cristo alla sua Sposa pellegrina nel mondo.
Questo è il giorno in cui in maniera tutta speciale la Chiesa particolare da una parte si manifesta e dall’altra prende coscienza della sua altissima dignità: quella di essere di essere vera Chiesa di Cristo, «popolo nuovo chiamato da Dio, nello Spirito santo e in una totale pienezza», corpo mistico di Cristo in cui Egli è presente e vive, nonostante la sua piccolezza e povertà (LG 26); non un gruppo di uomini qualsiasi che si riuniscono di loro spontanea volontà per un qualche fine comune, né una semplice ripartizione amministrativa del popolo di Dio ma un dono luminoso che proviene dal Padre, che a suo modo possiede e manifesta la natura della Chiesa universale che, come madre dei fedeli, fluisce dal fianco di Cristo crocifisso e, unita a Cristo, continuamente vive e cresce per mezzo dell’Eucaristia! (cfr. Cerimoniale dei vescovi, 2).
Davvero qui impariamo cosa è la Chiesa e ne ammiriamo tutto il suo splendore! Qui vediamo che essa è un corpo: il corpo di Cristo! A volte lo dimentichiamo e concretamente finiamo con il ritenere che essa sia un insieme di gruppi di fedeli che hanno in comune un territorio, un’esperienza o un carisma. No! La Chiesa particolare non è la somma di parrocchie o di altre espressioni ecclesiali, semmai confederate tra loro e coordinate da un responsabile!
Essa è invece un corpo vivo, la cui linfa fluisce dal Cristo Capo di cui è segno sacramentale il vescovo che, unitamente al suo presbiterio, è chiamato a comunicare ad ogni membro!
Questa realtà del corpo mistico che è poi l’immagine della Chiesa del Nuovo Testamento e, in particolare, quella consegnataci dalla teologia paolina, noi non la neghiamo – se lo facessimo verremmo meno alla retta dottrina! – ma di fatto tante volte la perdiamo di vista, con il rischio di cedere – per dirla con papa Francesco – ad una visione mondana di essa: quando ciò accade noi diamo l’impressione che la chiesa sia una realtà più simile alle organizzazioni degli uomini che un frutto della Pasqua, un’opera dello Spirito, uscita dal seno della Trinità, di cui essa è, e sempre più è chiamata a diventare, icona!
All’ortodossia deve perciò seguire l’ortoprassi! Ciò domanda che nella chiesa la comunione sia effettiva; ma perché sia tale, si richiede che essa diventi anche affettiva. Penso in questo momento al fermentum della chiesa antica, in particolare quella di Roma, un frammento del pane consacrato dalla messa del vescovo che egli inviava ai vari presbiteri che celebravano l’Eucarestia nelle campagne e nelle periferie geografiche del territorio diocesano, perché a tutti fosse chiaro che c’era una sola Eucaristia e che quella dei presbiteri era partecipazione dell’unica Eucarestia del vescovo. Dobbiamo recuperare la sacramentalità della chiesa e del ministero ordinato! Solo dentro questa sacramentalità è possibile comprendere il ruolo del vescovo, il suo legame con il presbiterio, il dono della comunione e il valore dell’obbedienza che mai è ad un uomo ma sempre a Cristo, unico pastore e vescovo delle nostre anime (cfr. 1 Pt 2,25).
È questo perciò uno tra i momenti più solenni della vita di una Chiesa! Questa Messa è un po’ come il giorno natalizio della vita di grazia di una Chiesa, nel senso che è come se da questa celebrazione ricominciassero a muoversi tutte le espressioni di grazia. Qui, come nell’immagine del profeta Ezechiele, nasce dal lato destro dell’altare un fiume – sarà un fiume di olio – che raggiunge tutte le comunità, che nel corso di questo anno raggiungerà tutti i battezzati, i cresimati, gli ordinati, coloro che riceveranno il Sacramento dell’Unzione dei malati… È tutta la vita sacramentale che sgorga dall’altare – meglio – dal fianco squarciato di nostro Signore crocifisso. Come bambini assetati, sotto una fontana, siamo qui per attingere perché scorra anche in noi e nelle nostre vene, questa grazia che qui celebriamo e che poi si andrà espandendo in tutta la nostra Diocesi.
“Lo Spirito del Signore è sopra di me;
per questo mi ha consacrato con l’unzione” (Lc 4,18).
Queste parole di Isaia 61, ascoltate nella I lettura, che Gesù applica a sé, annunciando, nella sinagoga di Nazareth, che si sono compiute in Lui, sono anche per noi! Per tutti noi! Per questo la nostra celebrazione è un’occasione speciale per rendere grazie al Signore per ciò che Egli ha fatto per noi: “A Colui che ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue, che ha fatto di noi un regno, sacerdoti per il suo Dio e Padre, a lui la gloria e la potenza nei secoli dei secoli. Amen.” (Ap 1,5-6): così nella II lettura.
È questo il momento in cui noi riscopriamo la nostra dignità di cristiani, di unti cioè, di cristi, di re, sacerdoti e profeti, partecipi – così recita la colletta di questa messa – della stessa consacrazione di Cristo per essere testimoni nel mondo della sua opera di salvezza.
Carissimi, la Pasqua è il tempo in cui noi ricominciamo ad essere cristiani, a vivere da cristiani; è il tempo nel quale noi riscegliamo Cristo come Signore della nostra vita e riconosciamo nella Chiesa, sua sposa, la nostra Madre.
Nei giorni scorsi abbiamo letto dal IV Vangelo che Gesù ritornò “nuovamente al di là del Giordano, nel luogo dove prima Giovanni battezzava, e qui rimase” (Gv 10,40). I giudei, che l’accusavano per essersi detto Figlio di Dio, avevano cercato di catturarlo; ma Gesù si ritirò dove tutto era cominciato: al di là del Giordano, dove lo Spirito del Signore era sceso su di Lui e lo aveva consacrato unto di Dio. Anche noi siamo qui per questo! Qui è il nostro Giordano o se volete il nostro cenacolo!
Ciò è vero per tutti i battezzati, resi degni del sacerdozio regale, ma ancor più lo è per i preti; per quanti, cioè, senza alcun loro merito sono stati consacrati con olio di letizia, a preferenza dei loro eguali (cfr Sal 44,8). Oggi è qui il loro cenacolo, il nostro cenacolo! Il rinnovo delle promesse fatte nel giorno dell’ordinazione presbiterale che fra poco vivremo è un momento tutto speciale nel quale dire al Signore che ci stiamo ancora, che non ci tiriamo indietro.
Di questo li ringraziamo! Sì, vogliamo dire grazie ai nostri sacerdoti per quel loro “sì” detto tanti o alcuni anni fa, che quest’oggi si rinnova! Penso in questo momento ad ognuno di loro e, in modo particolare, a quanti vivono quest’anno un anniversario particolare! Penso a don Marco e don Gianfranco, preti da meno di un anno che questa mattina per la prima volta rinnovano le promesse sacerdotali; penso a don Gino Ballirano che quest’anno compie 10 anni di presbiterato, a don Franco Mattera che ne compie 40, a don Vincenzo Fiorentino giunto alla soglia dei 60, a mons. Vincenzo Scoti, da tempo inchiodato a letto, che quest’anno compie 70 anni di presbiterato! Per loro e per tutti la nostra preghiera! Anche per i vescovi, i sacerdoti e i diaconi defunti, che in questa Chiesa hanno svolto il loro ministero, vogliamo pregare in questa Eucaristia!
“Nella sinagoga, gli occhi di tutti erano fissi su di lui” (Lc 4,20).
Pregate, carissimi, come fra poco saremo tutti invitati a fare, per me e per loro! Pregate ogni giorno perché i nostri occhi, i miei occhi, gli occhi di tutti i nostri presbiteri siano fissi su di lui, su Gesù, senza il quale non ha senso essere preti e non serve esserlo né per noi né per gli altri!
“Nessuno è più piccolo di un sacerdote lasciato alle sue sole forze”: lo diceva Papa Francesco nell’omelia della Messa Crismale dello scorso anno! Come le sentiamo vere queste parole!
Il 21 marzo scorso a Napoli, parlando ai preti e ai consacrati, ha ribadito più o meno lo stesso pensiero: “…il centro della vita deve essere Gesù… E quando il centro è Gesù ci sono comunque queste difficoltà, ce ne sono dappertutto, ma si affrontano in modo diverso… Ma la gioia non me la toglie nessuno: la gioia di andare dietro a Gesù”. E ai seminaristi ha detto: “Vi dico una cosa: se voi non avete Gesù al centro, ritardate l’Ordinazione. Se non siete sicuri che Gesù è il centro della vostra vita, aspettate un po’ più di tempo, per essere sicuri. Perché al contrario, incomincerete un cammino che non sapete come finirà”.
Carissimi presbiteri, ma anche voi diaconi e voi religiosi e religiose che quest’anno vivete la speciale grazia di un anno tutto dedicato a voi, fissiamo anche noi lo sguardo su Gesù – come dice la Lettera agli Ebrei – autore e perfezionatore della nostra fede (Eb 12,2), o come afferma il Salmo: “Guardate a lui e sarete raggianti” (33,6). Non è possibile risplendere come uomini e come donne, come consacrate, ma anche come diaconi, presbiteri e vescovi, se non di luce riflessa, la cui fonte è Cristo!
Quando il Signore Gesù diventa il centro della vita del prete, il centro della nostra vita, noi scopriamo che lo Spirito davvero opera in noi e gustiamo la gioia di essere canali di grazia e di consolazione!
“Mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi e proclamare l’anno di grazia del Signore” (Lc 4,18-19).
Sono parole dette da Gesù che valgono per Lui, ma in Lui, anche per tutti noi; in modo speciale riguardano noi vescovi e presbiteri che partecipiamo del Suo ministero sacerdotale! Perciò anche noi, come l’Unto del Signore, siamo chiamati a portare la belle notizia che è Gesù stesso, anche noi siamo chiamati ad annunciare a quanti sono prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi e proclamare l’anno di grazia del Signore”. La nostra missione è questa: consolare, portare gioia, togliere la tristezza, far toccare con mano la misericordia del Signore!
Nel Messaggio della Quaresima di quest’anno, dedicato al tema della cura, scrivevo che i cristiani – e perciò ancora di più i preti – sono chiamati: “a vivere la grazia di mettersi a fianco delle tante persone piagate nel corpo e nello spirito per prendersi cura di loro. Questa opera di misericordia, che è di tutta la Chiesa, li rende veri discepoli e testimoni credibili di Gesù, Buon Samaritano della storia, venuto sulla terra per manifestare la compassione di Dio e prendersi cura di noi (cfr. Lc 10,30-37)”. Di fatto, invece, tante volte anche noi, ministri della consolazione, «quasi senza accorgercene, – sono parole dell’Evangelii Gaudium – diventiamo incapaci di provare compassione dinanzi al grido di dolore degli altri, non piangiamo più davanti al dramma degli altri né ci interessa curarci di loro, come se tutto fosse una responsabilità a noi estranea che non ci compete» (54).
Mettiamoci tutti a lavorare per questo! Diamoci da fare affinché, come ci ha invitato a fare papa Francesco, «i luoghi in cui si manifesta la Chiesa, le nostre parrocchie e le nostre comunità in particolare, diventino delle isole di misericordia in mezzo al mare dell’indifferenza!» (Messaggio per la Quaresima 2015). Ce lo chiedono anche i tanti laici coinvolti nelle assemblee diocesane vissute in preparazione al Sinodo per la famiglia!
Impegniamoci in modo particolare perché ciò accada nel prossimo Anno Santo della Misericordia, annunciato da papa Francesco, per i 50 anni dalla conclusione del Concilio Vaticano II! Sarà indetto nei primi vespri della Festa della divina Misericordia, sabato 11 aprile e avrà inizio il prossimo 8 dicembre per concludersi il 20 novembre 2016, solennità di N.S. Gesù Cristo, Re dell’Universo.
Carissimi, in questi giorni santi eleviamo una speciale preghiera al Signore perché il mondo ritrovi la pace! Preghiamo perché si ponga fine ad ogni forma di intolleranza e di violenza; perché tacciano per sempre le armi di chi sparge sangue e terrore! In modo tutto speciale preghiamo per i cristiani perseguitati in tante parti della terra e continuiamo a sostenerli anche con il nostro generoso contributo come quest’oggi faremo nella colletta!
Come cittadini e come cristiani non possiamo essere indifferenti a quanto è successo in questi giorni ad Ischia! Siamo addolorati e preoccupati e allo stesso tempo sentiamo che non ci è chiesto di ergerci a giudici ma che, in questo momento, è necessario soprattutto pregare per la città di Ischia, per l’Isola tutta ma anche per gli indagati e le loro famiglie. Abbiamo fiducia nella giustizia italiana e ci auguriamo che al più presto venga fatta chiarezza su ogni cosa. Domandiamoci piuttosto tutti, come cristiani e pastori, se abbiamo dato sempre buon esempio e se abbiamo fatto tutta la nostra parte perché la corruzione assurta a sistema, tante volte riprovata da papa Francesco, non trovasse spazio in mezzo a noi e se, inoltre, abbiamo promosso lo sviluppo di una vera coscienza civile volta al bene comune. Di certo il continuo ripetersi di episodi, sia a livello nazionale che internazionale, di corruzione e, più in generale di interessi privati in ambito politico, chiama in causa anche noi cristiani e pastori e domanda che ci interroghiamo se e fino a che punto abbiamo lavorato per formare al valore della politica adoperandoci perché essa fosse riconosciuta, come affermava il beato Paolo VI, “la più alta forma di carità”.
Sapendo di essere tutti poveri e bisognosi di aiuto, ci affidiamo tutti alla Santa Madre di Dio, Regina della Pace e degli Apostoli, ai nostri santi patroni Restituta e Giovan Giuseppe della Croce e a san Giovanni Paolo II di cui oggi ricorre il decimo anniversario della morte. Amen.
Pietro, vescovo