Potrebbe essere questo il motto che meglio sintetizza il pomeriggio di fraternità vissuto il 23 ottobre 2015 con la comunità luterana presente ad Ischia
Di Giuseppina Attore e Matilde Di Meglio per il Kaire
A favorire l’evento un’occasione speciale: la visita pastorale di una delegazione della C.E.L.I. (Chiesa evangelica luterana in Italia) in Campania che ha fatto tappa anche sull’“isola verde”. Sì, perché ormai sono diversi anni che si intrecciano legami e rapporti improntati all’amicizia fra la comunità cattolica e la piccola ma sempre viva comunità luterana.
Si potrebbe definirla in piccolo una “cultura” del dialogo che ha radici profonde, cominciata 25 anni fa quando si celebrò per la prima volta sull’isola la Settimana di preghiera per l’unità dei Cristiani con la presenza di ministri anglicani, luterani e dell’Esercito della Salvezza, fortemente voluta da don Raffaele Di Costanzo, che da allora invitò il pastore luterano a venire sull’isola per seguirne la comunità, ormai rinfoltita dai numerosi turisti tedeschi.
Una storia ricca, bella, che si colora negli anni dei volti di tanti (a cominciare dai pastori Hartmut Dickmann, Holger Milkau, Michaela Troeger, per citarne solo alcuni) che hanno dato il loro contributo nella costruzione del mosaico che meglio raffigura la preghiera di Gesù al Padre, mirabilmente tracciata nel capitolo 17 dall’evangelista Giovanni.
Si profila così la vocazione di un’isola come Ischia: essere “casa”, sia per i tanti turisti che vi giungono da varie parti d’Europa, sia per gli immigrati provenienti dal nord Africa e dall’Est europeo, sia per quanti scelgono di abitare in questo luogo. Tutti portatori di culture, fedi e tradizione religiose che si intersecano fino a diventare, per molti aspetti, familiari fra loro.
Ed anche questo momento, atteso da tempo, diventa l’occasione perché facciano conoscenza persone con le loro esperienze, nella cornice di un caldo e assolato pomeriggio di fine ottobre, presso l’hotel Villa Ciccio sul Porto d’Ischia.
Sono presenti, per la delegazione della C.E.L.I., il decano, pastore Heiner Bludau da Torino, il vice decano Jacob Betz da Genova, il presidente della comunità luterana di Napoli, sig. Riccardo Bachrach, la pastora di Napoli, Kirsten Thiele, accompagnati dalla vice-tesoriera Caroline von Hoehnbuhl da Bolzano e dalla consigliera Christiane Groeben e, in rappresentanza della Chiesa cattolica di Ischia, il vescovo Pietro Lagnese, con il cancelliere don Gaetano Pugliese ed alcuni membri della Commissione ecumenica, Giuseppina Attore, Antonietta Pisano e Matilde Di Meglio. Sebbene non si conoscano, il clima è subito cordiale, per molti “di famiglia”.
Dopo un momento conviviale con tutta la comunità, che ha contribuito a “rompere il ghiaccio”, cuore dell’incontro diventa la partecipazione al culto luterano, guidato dalla pastora Thiele.
La gioia di trovarsi insieme e di poter pregare uniti nel nome di Gesù è il denominatore comune del saluto del vescovo Pietro Lagnese e del decano Heiner Bludau. Il primo ricorda come da tempo fosse forte il desiderio di potersi conoscere da vicino pregando insieme attorno alla mensa della Parola, per realizzare l’unità chiesta al Padre da Gesù nel capitolo 17 del Vangelo di Giovanni. Altrettanto sentito l’intervento del decano, visibilmente coinvolto in un clima che sin dall’inizio è di comunione profonda, divenuta sempre più palpabile con la proclamazione della Parola di Dio e la riflessione della pastora Thiele, improntata sulla lettera dell’apostolo Paolo agli Efesini (Ef 4, 1-6) e sul Vangelo di Giovanni (cap. 17).
“Nelle prime comunità l’unità non era affatto scontata, altrimenti Paolo non avrebbe dovuto scrivere una lettera con tali richiami – afferma la pastora –. Ma noi siamo chiamati ad una speranza, alla conservazione dell’unità per mezzo del vincolo della pace. Questa è una certezza. Gesù prega come abbiamo sentito dal Vangelo di Giovanni così: “E la gloria che Tu hai dato a me, io l’ho data a loro, perché siano come noi una cosa sola. Io in loro e Tu in me, perché siano perfetti nell’unità e il mondo sappia che Tu mi hai mandato e li hai amati come hai amato me”.
Pur consapevoli delle differenze e delle divisioni che nei secoli si sono prodotte all’interno dell’unica Chiesa di Gesù Cristo, “l’unità, che è in Dio stesso, è il motivo per la nostra chiamata all’unità. Essa ci libera dalla pressione e dalla costrizione di voler creare l’unità in qualche modo; – prosegue la pastora -. Infatti Paolo parla di “conservare” l’unità della Chiesa, il che vuol dire che essa è già prestabilita, non è una cosa che potremmo creare noi. Essa è prestabilita mediante il vincolo della pace, che ci lega a Lui e per questo ci lega anche tra noi”.
In questa dimensione, la recita del Padre Nostro e lo scambio della pace si tessono di divino e diventano gesti dal valore profetico come a voler dire “ tu sei importante per me, perché sei mio fratello, per te Cristo ha dato la vita. Senza di te quest’unità non sarebbe piena e completa”.
E da questi segni prende vita la credibilità dell’amore di Dio nei confronti di tutti gli uomini, “nella tensione tra la nostra chiamata e la realtà di questo mondo”.
Resi uno dalla presenza di Cristo, il tempo trascorre velocemente verso la conclusione della serata, attorno al “banchetto” della cena, dove ci si è potuti conoscere meglio, scambiandosi esperienze e riflessioni arricchenti, proposte per il cammino da portare avanti insieme, nella certezza che l’unità che siamo chiamati a costruire a partire da questo lembo di terra è un dono che va chiesto nella preghiera e non tanto il risultato dell’ impegno personale. “Una preghiera, come ricorda la pastora, che è mettersi con fiducia davanti al Padre come i bambini, con la sicurezza che Egli ci ama e ci ascolta, consapevoli che da soli non ce la possiamo fare. Unità nella molteplicità – senza cadere in falsi appiattimenti che cancellino con un colpo di spugna le diversità – nel senso che ci possiamo occupare gli uni degli altri, accettando l’essere diversi, come anche Dio nella Bibbia ha tanti volti!”
Tantissimi i commenti positivi a questo intenso momento nel quale il tempo e lo spazio hanno aperto un meraviglioso squarcio, preludio del “come in cielo così in terra”. Allora è venuto spontaneo al presidente Bachrach rivolgersi al vescovo Lagnese con questa espressione “ed ora andrò a cercare ‘l’abisso’ che ci possa separare!”, come a voler dire “niente ci può più separare”.
Sì, perché camminare insieme è già fare unità, come hanno ricordato in più occasioni due eminenti figure carismatiche del nostro tempo, Francesco e Bartolomeo.
E allora che questo momento di comunione vissuto sia segno di speranza nel cammino cui siamo chiamati: sperimentare l’essere UNO tra noi già su questa terra come prefigurazione della Vita nuova che ci attende in Cristo!