Chiesa di san Sebastiano M. in Barano 18 gennaio
Come di consuetudine, le Chiese presenti sull’isola si riuniscono una volta all’anno per una preghiera comune che favorisca l’unità tra fratelli, per riconoscersi e provare a camminare insieme, nel solco del Vangelo. La cornice scelta quest’anno è stata la Parrocchia di san Sebastiano Martire in Barano, in festa per il patrono, festa che cade il 20 gennaio. La Parrocchia ha organizzato una celebrazione semplice, ma molto sentita, con un coro – formato da componenti di diversi cori delle parrocchie vicine – che, a sentire i commenti, è stato “strepitoso”. Presenti alla celebrazione in qualità di ministri, oltre al nostro Vescovo Mons. Pietro Lagnese, la Pastora Kirsten Thiele, Vice decana delle Chiesa Evangelica Italiana, la Tenente dell’Esercito della salvezza Ilaria Castaldo, che da tre anni si occupa delle Comunità di Napoli e di Ischia – ricordiamo la loro presenza da tanti anni nel comune di Forio – , e inoltre alcuni rappresentanti del clero isolano insieme ai due sacerdoti, tra cui don Roman, arrivato da pochissimo tra noi, che seguono la comunità isolana ucraina di rito greco. La scelta dei testi e la preghiera di quest’anno sono invece stati opera delle comunità cristiane presenti sull’isola di Malta, il piccolo stato, costituito da due isole maggiori, Malta e Gozo, a metà tra Sicilia e Nord Africa, crocevia di varie civiltà, religioni e culture, noto alle cronache per le tristi vicende dei migranti. Su questa isola il Cristianesimo ha una storia antica, che risale al tempo degli Apostoli e a san Paolo, che vi giunse nel 60 d.C. in seguito al naufragio della nave diretta a Roma sulla quale era imbarcato come prigioniero. L’episodio è noto poiché compare negli Atti degli Apostoli (At 27-28) e ha rappresentato il centro della preghiera della serata, il cui titolo “Ci trattarono con gentilezza” (At 28, 2) evocava già il tema dei rapporti tra fratelli stranieri che è stato toccato dagli interventi dei ministri. La storia è nota: Paolo, prigioniero, doveva essere condotto via mare a Roma per essere processato. Alla partenza il mare, era già scuro e minaccioso, ma ben presto venne scosso da una forte tempesta. Mentre la nave, con le vele ammainate, percorreva le onde in balia del vento, rasentando le secche, i marinai provarono a gettare in mare prima il carico e poi gli attrezzi di bordo. Per quattordici giorni non si vide altro che onde minacciose e mentre tutti disperavano di salvarsi, Paolo ebbe la visione di un Angelo che lo rassicurò: nessuno sarebbe perito, ma avrebbero perso la nave. Rincuorato, Paolo si mette all’opera e convince tutti i passeggeri che non tutto è perduto, li fa mangiare e dà loro coraggio, finché la nave, ormai quasi del tutto sfasciata, non si arena in una secca in prossimità della piccola insenatura di un’isola, spinta da un’onda più forte. Quell’isola era Malta e i maltesi accorsero subito in tanti per soccorrere i naufraghi. Paolo rimase tre mesi sull’isola, operando miracoli e guarigioni ed evangelizzando il popolo. Questo brano degli Atti è stato il centro degli interventi della Tenente Ilaria e della pastora Kirsten. Con angolazioni e prospettive diverse entrambi gli interventi offrono occasione per una seria riflessione sulla nostra posizione e sul nostro atteggiamento come credenti sul tema dell’accoglienza, dell’ospitalità e della considerazione del prossimo in difficoltà, temi senz’altro attualissimi nel discorso del Vangelo. In particolare la Tenente Ilaria ha colto le analogie evidenti tra la situazione di Paolo e le tragiche vicende attuali dei migranti che ogni giorno attraversano il Mediterraneo mettendo in pericolo la propria vita, soffermandosi sulla capacità e necessità – forse costrizione – che tutti coloro che abitano su una isola conoscono, di confrontarsi con uno straniero che per scelta, magari per turismo, o perché obbligato, magari per lavoro, viene ad abitare nella loro piccola e ristretta terra. Gli isolani sono costretti a scegliere, come i maltesi del brano degli Atti, se cogliere l’occasione per fare del bene e condividere con chi è sfortunato, o ritirarsi nel caldo delle proprie case. L’amore che Dio ci insegna e che noi dobbiamo restituire è fatto di amore per il fratello, ma anche per lo straniero. “Non c’è cosa migliore che fare il meglio che possiamo per il maggior numero di persone”, ha concluso Ilaria citando le parole della prima generale donna dell’Esercito della Salvezza. E il brano di Paolo insegna che nessuno può pensare di salvarsi da solo. L’intervento della pastora Kirtsen ha puntato invece sulla figura di Paolo e sul suo comportamento durante la tempesta, fino al naufragio. Il dettagliato racconto ci presenta una nave che rimane giorni e giorni in balia delle onde, marinai e passeggeri nulla possono e qualcuno prova ad abbandonare, a salvarsi da solo, buttandosi in mare e lasciando gli altri al proprio destino. Ma Paolo lo impedisce: illuminato e confortato dalla voce del Signore che lo raggiunge attraverso un Angelo, salva se stesso e i suoi compagni di viaggio con uno strumento formidabile, la Parola. Quella Parola che Dio gli aveva mandato e che Paolo decide di non tenere per sé, ma di condividerla con tutta la compagnia, compresi i marinai che erano pronti a gettare in mare anche i prigionieri o ad abbandonare la nave. Paolo condivide il coraggio che gli viene da Dio, nella tempesta prende le redini della situazione, aiuta tutti, conforta, fa mangiare tutti i compagni ormai stremati dal mal di mare e dalla disperazione, li porta sani e salvi fino al lieto fine, quando la nave si arena e un’onda li spinge verso la salvezza. I maltesi erano pronti a dare una mano, ma bisognava arrivarci fino a loro, e Paolo lo consente. La figura di Paolo contiene l’identikit del perfetto cristiano, che socializza e condivide tutto ciò che ha con tutti, salvando se stesso con gli altri. Vediamo in controluce la figura di Cristo e il suo insegnamento applicato alla perfezione. E infine notiamo come l’esperienza negativa del naufragio si trasformi in una esperienza positiva per coloro che si salvano, ma anche per i maltesi, che hanno modo di fare esercizio di carità e avranno in più l’occasione di godere dei benefici dell’operato di Paolo, che presso di loro rimase a lungo guarendo e beneficando. Infine sottolineiamo l’intervento di Mons. Lagnese, il quale ha preferito commentare il brano del Vangelo (Mc 16,14-20) che ci presenta il Cristo risorto che appare ai discepoli, spaventati e increduli, per rimproverarli della loro poca fede. Commentando il Vangelo il Vescovo Pietro riporta l’attenzione sul tema della serata che era sì, l’accoglienza, ma soprattutto la preghiera ecumenica, o meglio, la preghiera per il superamento delle divisioni. Le divisioni o spaccature della Chiesa sono senza dubbio una dolorosa spina nel fianco per la Chiesa cattolica e il vescovo ha espresso bene questo dolore affermando che quel rimprovero fatto da Gesù ai Discepoli può essere ancora oggi a ragione rivolto noi, a causa della mancanza di fede, o della piccolezza della fede. Poiché, dice Gesù nel brano di Marco “Coloro che avranno fede compiranno miracoli”, esattamente come accade a Paolo. Restare dunque insieme è il monito della serata, perché questo è il sogno di Dio. La serata parrocchiale si è conclusa con la preghiera dei fedeli affidata alle otto parole chiave : luce, riconciliazione, fiducia, forza, ospitalità, conversione, generosità, parole che possiamo adottare tutti sulla strada dell’accoglienza.
di Anna Di Meglio