Omelia del vescovo Pietro per l’Ordinazione Presbiterale di Don Antonio Mazzella
Chiesa Cattedrale, 12 dicembre 2019
Is 61, 1-3a; At 20, 17-18a.28-32.36; Gv 21, 15-17
Unto per ungere
Lo spirito del Signore Dio è su di me, perché il Signore mi ha consacrato con l’unzione: questa Parola, compiutasi in maniera unica e singolare in Gesù di Nazareth, è per tutti noi, questa sera!
È per la nostra Chiesa, chiamata oggi con l’ordinazione presbiterale di Antonio a fare esperienza di una nuova effusione dello Spirito; ed è, in modo particolare per te, Antonio, che stai per accogliere il Paraclito che, come Dono di grazia, viene in te per farti partecipe dell’unzione del Signore.
Sì, lo Spirito viene in te, questa sera, e ti trasforma, compie in te una cosa nuova; opera, come sul pane e sul vino nell’Eucaristia, una trasformazione.
Lo spirito del Signore Dio è su di me. Da questa sera anche tu, Antonio, potrai sentire riferite a te, in una maniera tutta nuova, queste parole. Anche tu potrai dire: “Lo Spirito del Signore è su di me. Il Signore mi ha partecipato il Suo Spirito!”. Quello stesso Spirito che effuse a Pasqua, frutto della Sua morte e resurrezione, quello stesso Dono che il Risorto consegnò ai dodici quando alitò su di loro, questa sera è donato a te.
E perché lo Spirito viene su di te? Perché il Signore ha posato su di te il Suo sguardo, ha pronunciato il tuo nome e ha detto anche per te: “sarai pescatore di uomini”. Uscendo da questa Cattedrale stasera, sarai lo stesso di prima, ma non sarai più quello di prima.
Tutto ciò però avviene non come affare tuo privato, ma dentro la “misteriosa” realtà della Chiesa, popolo di unti, mandata a portare a sua volta l’unzione dello Spirito.
Siamo innanzitutto noi quei poveri, quegli afflitti di cui parla il profeta; siamo noi, Chiesa di Ischia, quel popolo bisognoso di consolazione. Sposa amata dal Signore, siamo noi quel popolo di miseri, gente dal cuore spezzato, gente piagata, afflitta, bisognosa di consolazione, di ascoltare cioè ogni giorno il lieto annuncio dell’amore di Dio: un annuncio che, se accolto, è capace di rendere liberi gli schiavi e i prigionieri, donando loro “olio di letizia invece dell’abito da lutto, veste di lode invece di uno spirito mesto”.
Carissimo Antonio, sentiti anche tu, ogni giorno, così: bisognoso di unzione. Sentiti parte di questo popolo.
“Il presbitero – dice Papa Francesco – è tale nella misura in cui si sente partecipe della Chiesa, di una comunità concreta di cui condivide il cammino. Il popolo fedele di Dio rimane il grembo da cui egli è tratto, la famiglia in cui è coinvolto, la casa a cui è inviato. Questa comune appartenenza, che sgorga dal Battesimo, è il respiro che libera da un’autoreferenzialità che isola e imprigiona (…) Questa appartenenza è il sale della vita del presbitero; (che) fa sì che il suo tratto distintivo sia la comunione, vissuta con i laici in rapporti che sanno valorizzare la partecipazione di ciascuno” (Alla CEI, 16 maggio 2016).
Antonio sii capace di una condivisione virtuosa con il popolo di Dio. Solo se sarai capace di lasciarti convertire dal popolo, potrai essere in mezzo ad esso un vero pastore, uno strumento sincero di conversione per il gregge. Mettiti umilmente alla scuola di questo popolo, impara dalla gente, impara dalle famiglie! Quanto si cresce stando in mezzo a loro, umilmente! Ne hai fatto viva esperienza in quest’ultimo tempo soprattutto all’interno della Fraternità di Emmaus!
Riconosciti però anche, unito al vescovo, parte di un unico presbiterio.
“Per un sacerdote – dice ancora il Papa – è vitale ritrovarsi nel cenacolo del presbiterio. Questa esperienza – quando non è vissuta in maniera occasionale, né in forza di una collaborazione strumentale – libera dai narcisismi e dalle gelosie clericali; fa crescere la stima, il sostegno e la benevolenza reciproca; favorisce una comunione non solo sacramentale o giuridica, ma fraterna e concreta. Nel camminare insieme di presbiteri, diversi per età e sensibilità, si spande un profumo di profezia che stupisce e affascina” (Ibidem).
È il profumo della comunione!
Carissimo Antonio lavora per questa comunione! Sii un prete capace di comunione. È così che si ama veramente la Chiesa! È la comunione a rendere bella la Chiesa, a fare di essa una realtà credibile, una vera comunità di discepoli-missionari in cui il Risorto si rende presente e dona la gioia di volerlo portare agli altri. Riconosci perciò nell’impegno per la comunione il primo compito che, da questa sera, come presbitero, ti è affidato.
Lo Spirito del Signore è su di me… mi ha consacrato con l’unzione.
Anche su di te lo Spirito scende e ti consacra con un unzione. Perché con un’unzione? Perché tu possa ungere; perché tu possa comunicare, portare forza, perché tu possa essere, con la vita innanzitutto, annunciatore di belle notizie per quanti sono miseri perché a corto di speranza; perché tu possa consolare e sanare quanti hanno un cuore che sanguina, un cuore indurito, un cuore malato; per dire, a chi è schiavo o vive la vita come una prigione, che c’è possibilità di essere liberati.
Il vangelo è questo: esperienza di libertà; è sperimentare la consolazione di Dio in mezzo alle afflizioni del mondo, gustando la gioia di essere amati da Dio…
E, invece, tante volte anziché sanare e alleviare ferite sanguinanti, siamo proprio noi a generare quelle ferite… a causarle… e così contribuiamo proprio noi a che si formino quelle ferite… e così continuiamo a crocifiggere la carne di Cristo che è la Chiesa.
Carissimo, Dio ti chiama a stare vicino agli afflitti per consolarli e per far pregustare loro la letizia di essere chiamati tutti ad una festa di nozze…
Quando, ogni anno nella Messa crismale, riascolterai queste parole, riconosciute da Gesù nella sinagoga di Nazareth innanzitutto per Lui e da Lui compiute in tutta la sua vita, ricordati di questa sera e chiedi al Signore un cuore docile perché il Suo Spirito possa vivere in te e agire come fuoco per la tua missione.
Antonio carissimo, di tutto il vangelo di questa sera – il bellissimo brano che ci ripropone quell’intenso dialogo tra Gesù e Simon Pietro sulla riva dl lago di Tiberiade – sai, c’è innanzitutto una cosa che mi colpisce: è l’aggettivo possessivo che il Risorto usa per tre volte per parlare a Pietro del gregge che gli affida: “Pasci i miei agnelli… Pascola le mie pecore”.
Il gregge è Suo; gli agnelli sono Suoi; sono Sue le pecore! Pietro non lo dimenticherà!
Come Paolo che parlando a Mileto, agli anziani di Efeso – lo abbiamo ascoltato nella II lettura! – dirà: “Vegliate su voi stessi e su tutto il gregge, in mezzo al quale lo Spirito Santo vi ha costituiti come custodi per essere pastori della Chiesa di Dio, che si è acquistata con il sangue del proprio Figlio” (At 20, 28).
E nella I Lettera, sempre l’Apostolo Pietro, scriverà: “Voi sapete che non a prezzo di cose corruttibili, come l’argento e l’oro, foste liberati dalla vostra vuota condotta ereditata dai vostri padri, ma con il sangue prezioso di Cristo, come di agnello senza difetti e senza macchia” (1, 18-19).
Sì, siamo tutti frutto del Sangue del Figlio di Dio, del Sangue di Cristo! La gente che ci viene affidata è frutto di quel Sangue: non la sporchiamo; non la usiamo; non la offendiamo!
Sant’Agostino commentando il vangelo di questa sera ci dice:
“Coloro che pascono le pecore di Cristo con l’intenzione di condizionarle a se stessi e di non considerarle di Cristo, dimostrano di amare non Cristo, ma se stessi, spinti come sono dalla cupidigia di gloria o di potere o di guadagno, non dall’amore di obbedire, di aiutare, di piacere a Dio”.
Perciò, con la parola: “Mi ami? Pasci le mie pecore” (cfr. Gv 21, 17), ripetuta tre volte – continua Agostino – Gesù sembra dirci: “Se mi ami, non pensare a pascere te stesso, ma pasci le mie pecore, e pascile come mie, non come tue; cerca in esse la mia gloria, non la tua, il mio dominio, non il tuo, il mio guadagno, non il tuo, se non vuoi essere del numero di coloro che appartengono ai «tempi difficili», di quelli cioè che amano se stessi con tutto quello che deriva da questo amore di sé, sorgente di ogni male”.
Carissimo Antonio, ecco allora la domanda! Quale? Quella più importante.
Questa sera prima di ricevere l’ordine del presbiterato, la Chiesa, nella persona del vescovo, ti pone alcune domande – sei per l’esattezza – ; sei domande che si aggiungono a quelle che già ti furono rivolte nel giorno della tua ordinazione diaconale, e che dicono lo specifico della missione del prete: persona strettamente unita a Cristo, che come vittima pura si è offerto al Padre per noi, ministro della Parola e dei Sacramenti, in special modo dell’Eucaristia e della Riconciliazione, fedele cooperatore dei vescovi nel servizio al popolo di Dio con i quali è chiesto di stabilire una comunione profonda espressa concretamente nella promessa di obbedienza.
Ma prima di queste c’è un’altra domanda che oggi ti è posta.
Una domanda ancora più importante delle altre: perché è alla base di tutte le altre e dentro la quale trova senso ogni vocazione e ogni ministero nella Chiesa.
Una domanda che ti pone lo stesso Signore Gesù. È la stessa che pose a Pietro quel giorno sulla riva del lago di Tiberiade: “Simone di Giovanni, mi ami?”. Oggi, risuonata in questa Liturgia, è posta a tutti noi; ma in modo particolare quella domanda interpella te.
Carissimo Antonio, chiedi questa sera la grazia di amare il Signore e di amarlo sopra ogni cosa. Chiedilo ogni giorno, sapendo che la tentazione di tornare indietro, come per Pietro, potrebbe prendere anche te. Chiedi al Signore di rimanere nel Suo amore! Custodisci il tuo amore per Lui. Non darlo per scontato: mai! Al contrario, vigila su te stesso! Vigila, cioè sii umile! Vigila, cioè non fare da solo: fatti aiutare! Vigila, cioè prega!
Vigila e non risparmiarti, perché è nell’accidia che trova spazio la mollezza del cuore.
Ti affido ai preti santi della nostra Chiesa… a quelli noti come San Giovan Giuseppe della Croce e il venerabile parroco Giuseppe Morgera, ma anche a quelli sconosciuti che nel silenzio servirono con zelo sulla nostra Isola le membra di Cristo.
Penso ad uno per tutti: a don Luigi Di Iorio… morto esattamente 20 anni fa…prete santo, povero, vicino alla gente, prete che in silenzio portava nella preghiera al Signore la sua gente.
Ti affido a Giovanni Battista, precursore del Signore, protagonista del Tempo di Avvento. Sii come lui, uno che parla di Cristo e a Cristo rimanda, un uomo che attira al Signore e non cerca la sua gloria, un prete capace di dire: Lui deve crescere e io diminuire!
E, infine, ti affido a Maria. A Lei che ti riconosce suo figlio. E tu riconoscila Madre. Al suo cuore consegna le tue pene e i tuoi dolori, le tue fatiche e i tuoi fallimenti. Riconoscila come un dono che Gesù stesso ti fa. Anche a te Egli dice questa sera come dall’alto della croce: “Ecco tua Madre!”. Come Maria di’ con i fatti anche tu al Signore: avvenga di me secondo la Sua Parola. Amen.