Don Vincenzo Fiorentino ripercorre con noi i suoi primi 60 anni di sacerdozio. Quel lontano 10 luglio 1955…
Correva l’anno 1955 e dopo aver terminato con ottimi risultati il percorso di studi, il giovane diacono Vincenzo Fiorentino si apprestava con trepidazione a ricevere l’ordinazione sacerdotale. Quel giovane oggi è parroco di S. Angelo da 53 anni e sta per ricordare, il prossimo 10 luglio, i suoi 60 anni di sacerdozio. Una tappa meravigliosa per un uomo che si è lasciato “lavorare” dalle mani di Dio vivendo il suo ministero come servizio umile e gioioso ai fratelli per la gloria dell’Unico Padre.
Abbiamo incontrato don Vincenzo a Panza, suo paese d’origine, in un caldo pomeriggio di fine giugno per ripercorrere insieme a lui le vicende della sua vita e della sua vocazione sacerdotale.
“Ti chiederai come mai non sono stato ordinato sacerdote sull’isola ma a Napoli – ci dice subito don Vincenzo – ebbene, devi sapere che in quel periodo il Vescovo era gravemente ammalato e si trovava presso le suore Figlie della Carità a Forio. Nel mese di giugno avevo terminato il mio percorso di studi, con non pochi sacrifici; a casa iniziavano ad esserci i primi preparativi per vivere nella gioia e nella semplicità questo momento di festa; senonchè dalla Curia nessuno sembrava interessarsi più di tanto della data della mia ordinazione. Passati alcuni giorni chiamai il mio rettore di Seminario per chiedere qual era la cosa giusta da fare, dopo aver faticato tanto per arrivare a questa mèta: lui mi disse di non preoccuparmi e aggiunse che di lì a pochi giorni nella Chiesa del Gesù Nuovo si sarebbero tenute le ordinazioni di altri studenti del Seminario, quindi anche io avrei potuto ricevere lì l’ordinazione sacerdotale. Accettai e andammo quel 10 di luglio del 1955 io, mio padre e uno dei miei fratelli e così fui ordinato Sacerdote. C’era l’usanza che per 7 giorni il neo sacerdote non doveva farsi vedere in pubblico fino alla Prima Santa Messa solenne, così io andai a celebrare in un certo senso quasi “di nascosto” alle 3 di notte nella Parrocchia di Panza e mio fratello Nicola veniva a servire Messa. Passati quei giorni celebrai la Prima Messa Solenne nella Chiesa Parrocchiale di San Leonardo e ricordo che c’erano davvero tanti Sacerdoti quel giorno venuti a cantare con me le grandi meraviglie di Dio”
Quali sono i tuoi sentimenti alla vigilia di questo momento così’ bello della tua vita?
“Senz’altro il sentimento della gratitudine al buon Dio, ai miei genitori e alla mia famiglia per tutto quello che mi hanno dato, anche per la buona salute che mi ha accompagnato fino ad oggi, perché devo essere onesto: non credevo di arrivare ad 80 anni con più problemi e acciacchi di quanti invece ne abbia ora realmente e di questo ringrazio il buon Dio ma anche i miei genitori perché è attraverso di loro che Lui ci dona vita e salute. Molti mi dicono che questa tenuta fisica ma anche l’entusiasmo interiore è stato dovuto al fatto che essere parroco a S.Angelo e Succhivo mi ha portato a muovermi molto e a non restare quasi mai fermo, anche per piccole riparazioni o faccende di ogni giorno ho saputo e so cavarmela da solo e questo di certo ha contribuito a donarmi grinta per andare avanti ogni giorno passo dopo passo”.
Raccontaci la storia della tua vocazione: so che hai avuto anche uno zio sacerdote al quale sei stato molto legato.
“Si, si tratta di don Giuseppe Impagliazzo, al quale servivo messa ogni giorno qui a Panza e che accompagnavo poi a casa. La vocazione secondo me non è un qualcosa che ti piove in testa da un giorno all’altro e neanche un angelo viene a comunicarti nell’orecchio una decisione di Dio; credo piuttosto che ci siano delle inclinazioni del cuore che o vengono spente per le difficoltà del cammino o vengono alimentate da chi ti sta vicino e da tanti piccoli avvenimenti che ti fanno poi comprendere che è quella la strada che Dio ha tracciato per te. Non sono diventato prete automaticamente; dopo gli anni delle medie a Ischia (si andava a piedi allora!) ho vissuto un anno potremmo dire “sabbatico” in cui è poi maturata la scelta di andare avanti verso il ministero sacerdotale”.
Come è stata accolta dalla tua famiglia la decisione di diventare Sacerdote?
“E’ stata accolta bene perché ho avuto la grazia di nascere in una famiglia in cui i valori cristiani e la partecipazione alla vita della Comunità parrocchiale sono stati sempre vivi. Certo non sono stati pochi i sacrifici che i miei genitori hanno fatto per me per mandarmi avanti su questa strada. Oggi i seminaristi non pagano quello che dovevamo pagare noi per studiare; quando ero economo diocesano e mi capitava di fare assegni per i seminaristi o diaconi della diocesi mi veniva in mente di quella volta in cui non potetti pagare una quota per il seminario e mi rimandarono a casa. Mia madre si trovava nella terra e mi vide arrivare e io gli raccontai la cosa: lei non fece altro che alzare gli occhi al Cielo invocando il Signore! Dico questo perché davvero tanti furono i sacrifici loro e tanti furono anche i miei e dei miei compagni di seminario dell’epoca, ci trovavamo nel 1945 quindi nel periodo tra seconda guerra mondiale e post guerra, allora si entrava a settembre in seminario e si tornava a casa a giugno e potevano venirti a trovare il papa o la mamma per portarti qualcosa. Molti furono anche i ragazzi di Panza che all’epoca entrarono in Seminario, alcuni tra noi sono diventati Sacerdoti, altri hanno preso altre strade nella vita ma sicuramente quella del Seminario è stata un’esperienza che li ha formati sotto tutti i punti di vista”.
Subito dopo l’ordinazione sacerdotale quali sono stati i primi incarichi che ti sono stati affidati?
“Subito dopo l’ordinazione sacerdotale ho collaborato sia al Cuotto che a Succhivo in modo particolare e ho dato una mano anche qui a Panza. Mio zio avrebbe voluto che diventassi parroco di Panza ma io memore del detto “nessuno è profeta in patria” non ho mai visto di buon occhio questa cosa. Sta di fatto che 7 anni dopo la mia ordinazione il Vescovo mi chiese di diventare Parroco di S.Angelo: accettai di buon grado, forte anche del buon rapporto che si era creato con gli abitanti di Succhivo e in parte anche con i santangiolesi perché spesso venivo in Parrocchia per ricevere dal Parroco le consegne o gli avvisi da dare a Succhivo.
Pensa che mio zio prete che pure mi voleva un gran bene non venne alla mia presa di possesso canonica della Parrocchia di S.Angelo, tanto era forte in lui il desiderio che io fossi stato parroco del mio paese”.
In 60 anni di sacerdozio non c’è mai stato un momento in cui hai rimpianto la scelta fatta?
“No, assolutamente no, e anche se questa idea mi ha solamente sfiorato la mente non ha certo avuto la forza di attecchire e restare dentro di me”.
Sei stato felice di vivere quasi tutti gli anni del tuo ministero sacerdotale come parroco di S.Angelo e Succhivo?
“Si, posso dire di si anche se le difficoltà non sono certo mancate ma credo di essermi fatto voler bene da tutti nella semplicità e nell’umiltà di ogni giorno, ho cercato di non far pesare mai il mio essere prete e parroco. Un prete deve certamente essere guida ma mai vivere con prepotenza o superiorità sul popolo; io ho cercato di non imporre mai le mie idee e di vivere insieme alla gente e tra la gente, ho giocato a pallone con i ragazzi, ho vissuto la vita di ogni giorno cercando di fare del mio meglio”.
So di per certo che stare a S.Angelo ti ha portato ad imparare bene anche il tedesco…
“Questa possiamo dire che è stata proprio una necessità! Una volta discutemmo con una tedesca per oltre 15 minuti su un avverbio, non era facile capire e farsi capire ma poi piano piano da autodidatta ho imparato tante cose e oggi celebrare anche in tedesco non è un problema; più difficile fare un’omelia intera in lingua tedesca ma per questo ci penseremo nella prossima vita”!
Quanti Vescovi hai incontrato in 60 anni di sacerdozio!
“Ne ho incontrati 7: Mons. De Laurentis, Mons. Cece, Mons. Tomassini, Mons. Parodi, Mons. Pagano, Mons. Strofaldi e Mons. Lagnese, ognuno di loro mi ha dato tanto, mi hanno trasmesso la fede, l’umiltà, la perseveranza, l’entusiasmo, la gioia di andare avanti, la bellezza della scelta cristiana”.
Vivendo questa tappa così bella che messaggio vorresti lasciare ai sacerdoti più giovani o a chi si prepara ad essere sacerdote?
“Sotto i paramenti anche belli che un prete indossa ci sono le nostre fragilità e le nostre miserie, c’è bisogno per questo di tanta preghiera e tanta unità tra di noi, queste due cose credo siano fondamentali per un sacerdote: preghiera e unità con gli altri”.
Un messaggio alla tua comunità di S.Angelo e Succhivo…
Avete ricevuto da Dio il dono di vivere in un luogo meraviglioso: usatelo come una scala per salire verso il Cielo dove Lui ci attende, vivendo la fede e testimoniando l’amore fraterno. S.Angelo tra le altre cose mi ha certamente insegnato anche l’amore per il mare che è un dono prezioso che va rispettato.
Alla comunità di Panza che ti ha generato nella fede…
Mi sento sempre anche panzese. Panza mi ha dato il calore della famiglia, la gioia dell’amicizia e a Panza torno ogni giorno con piacere cercando di essere presente ai momenti lieti e meno lieti della comunità come quando salutiamo un fratello che parte per il cielo che magari è stato anche amico con il quale hai condiviso i momenti belli e spensierati della giovinezza.
Ricordo che al tuo 50° di Sacerdozio in piazza a S.Angelo l’avvocato Acunto disse di te che avevi portato quello a S.Angelo mancava: la panzesità! Fu una cosa che mi colpì e mi inorgoglì.
A proposito di Panza, non posso non sottolineare come sia bello anche per me trascorrere del tempo a curare un po’ la terra e i suoi frutti. Una sola ora passata a contatto con la terra ti dona una gioia indicibile. In un’epoca in cui vogliamo tutto e subito e dove domina la fretta assoluta la terra ci insegna la pazienza, il saper aspettare che un frutto esca fuori e maturi. I mulini di Dio macinano lentamente, noi vorremmo vedere tutto subito realizzato nella nostra vita, ma è come nella terra: bisogna saper aspettare i tempi di Dio e apprezzare tutto quanto Lui ci dona ogni giorno.
di Francesco Schiano