12 dicembre 2015
E noi che cosa dobbiamo fare?
Esercizi di misericordia per guarire dalla “sclerocardia”!
E noi che cosa dobbiamo fare?
È la richiesta che troviamo nel vangelo di questa domenica (cfr. Lc 3,10-18).
Lo domandano le folle, i pubblicani e i soldati a Giovanni Battista!
È una bella domanda! A volte anche noi ce la poniamo! Soprattutto quando facciamo esperienza del limite e tocchiamo con mano la nostra incapacità nel capire e nel fare.
E forse dovremmo porcela più spesso! Ci viene invece più facile dire cosa gli altri debbano o non debbano fare, credendo di avere le risposte giuste per tutti!
Invece questa domanda – cosa dobbiamo fare? – ci aiuta a prendere coscienza della nostra piccolezza e a renderci conto della nostra povertà! Ci aiuta a porci dinanzi a noi stessi, alla vita, agli altri, ai fatti, con l’umiltà di chi, tolti i sandali, riconosce che ogni cosa è spazio sacro, luogo d’incontro con Dio!
È bella questa domanda; soprattutto se ad essa corrisponde una sincera disponibilità a mettersi in discussione e a verificarsi; meglio, a chiedere al Signore nella preghiera: Che cosa devo fare? Oggi, che cosa devo fare? Cosa mi chiedi? A cosa mi chiami?
È importante che tutti ce lo domandiamo e lo domandiamo al Signore all’inizio di questo Giubileo!
Ad incominciare da me, che sono vescovo di questa Chiesa!
Cosa vuole il Signore da me? Cosa devo fare? E cosa desidera per i nostri sacerdoti, per i diaconi, i seminaristi, per le persone consacrate, per voi fratelli e sorelle laici?
Cosa devono fare i nostri sindaci e gli amministratori delle nostre sei municipalità? E i genitori, i docenti e tutti coloro che hanno una responsabilità educative e sociali? Cosa devono fare i nostri albergatori, gl’imprenditori locali, quanti si occupano della comunicazione e quanti sono deputati ad amministrare la giustizia e a garantire la sicurezza?
Cosa dobbiamo fare per le famiglie, i giovani, gli anziani del nostro territorio? Per le persone che vivono il dramma della malattia, della solitudine, delle dipendenze, delle disabilità o della fatica di vivere? Cosa dobbiamo fare per quanti hanno perso il posto di lavoro o non lo hanno mai avuto; per quanti con mille difficoltà arrivano a fine mese?
E noi che cosa dobbiamo fare?
Giovanni con parole semplici e immediate, risponde concretamente invitando alla sobrietà, alla condivisione e all’onestà: in una parola alla conversione!
La stessa domanda posta al Battista la troviamo all’inizio degli Atti degli Apostoli al termine del grande discorso tenuto da Pietro il giorno di Pentecoste, quando i presenti, all’udire il messaggio del capo degli apostoli, si sentirono trafiggere il cuore e chiesero a Pietro e agli altri apostoli: “Che cosa dobbiamo fare, fratelli?”. La risposta di Pietro sarà analoga a quella del Precursore: occorre convertirsi e farsi battezzare (cfr. At 2,37-38). L’appello alla conversione è pertanto il messaggio perenne della Chiesa!
L’invito di Giovanni alla conversione è la risposta ad una richiesta: una richiesta che nasce da un fatto! La triplice richiesta è stata provocata da un annuncio: il Battista ha annunciato un avvenimento, o meglio, un Avvento: il Signore viene!
Dinanzi a quella notizia, naturale, quasi istintiva, nasce la domanda e, come risposta, ne segue l’invito alla conversione!
Anche per noi oggi c’è un fatto: un fatto nuovo ci raggiunge!
Dio si rivolge a noi e ci dice: ho revocato la vostra condanna!
“Il Signore ha revocato la tua condanna” (Sof 3,15)!
Egli ci tende la mano e ci offre una nuova possibilità.
Il Signore ci dona un’occasione! Ora!
È pronto a ricominciare: con me, con te, con tutti!
Questo è un tempo speciale! È un Giubileo!
È l’anno di misericordia del Signore! (cfr. Is 61,2).
«Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi, a proclamare l’anno di misericordia del Signore» (Is 61,1-2).
Carissimi, questo annuncio, proclamato nella sinagoga di Nazareth, da Gesù, volto della Misericordia del Padre, e realizzato con la Sua Pasqua, a partire da oggi, in maniera piena, si fa nuovo per noi!
Grazie al successore di Pietro, cui è stato affidato il potere delle chiavi, anche per noi oggi una porta, infatti, si è aperta!
È la Porta della Misericordia! Essa è spalancata per noi! E tutti vi possiamo passare!
La Chiesa, Sposa del Signore, santa, benché peccatrice, perché una con Lui, attinge al tesoro della grazia e fa sgorgare per noi fiumi di misericordia. Come da un monile di preziosi, la Chiesa, dal costato di Cristo fa sgorgare per noi sangue ed acqua, segni della Vita e dell’Amore, che generano e fanno rinascere, che curano e risanano, che nutrono e danno forza, che accendono amore e mettono le ali!
Anche per noi, come per i cristiani di Filippi, c’è perciò un invito alla gioia!
«Siate sempre lieti nel Signore, ve lo ripeto: siate lieti»: dice Paolo (Fil 4,4).
Anche noi, come il popolo di Israele, siamo invitati a gioire!
«Rallegrati, figlia di Sion, /grida di gioia, Israele,
esulta e acclama con tutto il cuore, /figlia di Gerusalemme!» (Sof 3,14).
Quattro verbi per stanarci dalle nostre tristezze e convincerci alla gioia!
Oggi, sono verbi per noi! Sono parole rivolte a noi! E, a partire da noi, ad ogni uomo e ad ogni donna: a tutti!
Rallegrati… grida di gioia… esulta e acclama con tutto il cuore…!
Rallegrati, Chiesa di Ischia! Grida di gioia, chiunque tu sia, qualunque sia il tuo stato di vita, la tua condizione, la tua storia, il tuo passato e il tuo presente, il tuo peccato!
«Il Signore ha revocato la tua condanna, ha disperso il tuo nemico» (Sof 3,15).
Queste parole, la Chiesa, come il profeta Sofonia, ha il compito di pronunciarle per il mondo: pronunciarle e farle vedere! Ma perché ciò avvenga, la Chiesa per prima ha bisogno di ascoltarle, gustarle, sperimentarle, vederle realizzate nella sua vita!
Per questo Papa Francesco ha indetto il Giubileo della Misericordia!
«La Chiesa ha bisogno di questo momento straordinario. – ha detto nella catechesi di mercoledì scorso, all’indomani dell’Apertura del Giubileo – Non dico: è buono per la Chiesa questo momento straordinario. Dico: la Chiesa ha bisogno di questo momento straordinario. Nella nostra epoca di profondi cambiamenti, la Chiesa è chiamata ad offrire il suo contributo peculiare, rendendo visibili i segni della presenza e della vicinanza di Dio. E il Giubileo è un tempo favorevole per tutti noi, perché contemplando la Divina Misericordia, che supera ogni limite umano e risplende sull’oscurità del peccato, possiamo diventare testimoni più convinti ed efficaci» (Udienza generale, 9 dicembre 2015).
Cosa significa concretamente tutto ciò?
O, meglio, facendo nostra la domanda posta al Battista: Che cosa dobbiamo fare?
Mi sembra di capire che due cose ci vengano chieste.
Siamo chiamati innanzitutto a «Volgere lo sguardo a Dio, Padre misericordioso» e a «puntare l’attenzione sul contenuto essenziale del Vangelo: Gesù, la Misericordia fatta carne, che rende visibile ai nostri occhi il grande mistero dell’Amore trinitario di Dio. Celebrare un Giubileo della Misericordia equivale a mettere di nuovo al centro della nostra vita personale e delle nostre comunità lo specifico della fede cristiana, cioè Gesù Cristo, il Dio misericordioso» (Francesco, Udienza Generale, 9 dicembre 2015).
Mettere di nuovo al centro Gesù Cristo! L’aver posto al centro del nostro presbiterio l’antico e bellissimo crocifisso della Cattedrale, tanto caro al popolo ischitano, vuole contribuire a ricordarci questo ideale: ricordarci chi è il centro della nostra fede e della nostra vita. Senza di Lui che cosa sarebbe la nostra esistenza?
Dobbiamo perciò fare esperienza della Misericordia di Dio!
Dobbiamo credere nel Suo amore!
«Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio? Questa è l’opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato»: così rispose Gesù a coloro che lo cercavano solo per aver moltiplicato il pane (cfr. Gv 6,28-29)! Credere, dunque! I cristiani sono coloro che hanno creduto all’Amore (cfr. 1Gv 4,16). Lo hanno riconosciuto e creduto!
L’Anno Santo a questo deve aiutarci: A «vivere la misericordia (…) per sperimentare nella nostra vita il tocco dolce e soave del perdono di Dio, la sua presenza accanto a noi e la sua vicinanza soprattutto nei momenti di maggiore bisogno» (Francesco, Udienza Generale, 9 dicembre 2015).
Abbiamo bisogno di essere guadati dal Signore! Abbiamo bisogno di questo sguardo di Cristo, dicevamo il 21 settembre, nel Discorso all’inizio dell’Anno Pastorale: la Chiesa ne ha bisogno continuamente!
«Anzi, la Chiesa viene da questo sguardo! Vive di questo sguardo e senza di esso muore! Senza questo sguardo di Gesù siamo, perciò, tutti poveri!» (Discorso del 21 settembre 2015). Meglio, persi!
«Dobbiamo – dice il papa – in primo luogo porci in ascolto della Parola di Dio. Ciò significa recuperare il valore del silenzio per meditare la Parola che ci viene rivolta. In questo modo è possibile contemplare la misericordia di Dio e assumerlo come proprio stile di vita» (MV 13). Perciò la preghiera, l’adorazione, il ritorno alla Parola, la celebrazione più frequente del Sacramento della Riconciliazione. Perciò ho voluto che in quest’anno la Cattedrale diventasse un vero “santuario della misericordia”.
Non c’illudiamo: non potremo mai esseri capaci di Misericordia se non ci decideremo a metterci dinanzi al Signore per lasciarci guardare da Lui! Se non faremo noi per primi esperienza di misericordia non sarà possibile offrire misericordia! Se non gusteremo la gioia di essere perdonati da Lui!
Ad incominciare da noi sacerdoti, che in quest’anno con più zelo e generosità saremo chiamati a farci ministri della Riconciliazione! Lasciamo che il Signore fissi il Suo sguardo su di noi, prima su noi sacerdoti, e permettiamo che tutti sentano il Suo amore! Se non permetteremo che il Signore ci guardi e il suo sguardo ci trasfiguri potrebbe accadere anche a noi ciò che avvenne al giovane ricco: la tristezza potrebbe abitare anche la nostra vita! Potrebbe accadere ciò che accadde a Giuda che chiuse gli occhi all’amore. E potrebbe accadere anche in questo giubileo; nonostante il Giubileo! Potrebbe succedere che anche questa occasione venga sciupata! Che non l’accogliamo; che ci mettiamo a guardare da qualche altra parte. Che ci facciamo angustiare per cose da nulla (cfr. Fil 4,6) e perdiamo di vista l’essenziale! Dobbiamo invece tenere fisso lo sguardo su Gesù perché l’incontro con Lui generi in noi, come in Pietro, il dono delle lacrime: lacrime di pentimento e di dolore dei peccati, ma anche di gioia, di pace e di vita nuova!
La seconda cosa che mi sembra importante fare è compiere esercizi di misericordia!
C’è una sclerocardia che ci riguarda un po’ tutti: siamo tutti malati di durezza di cuore: come singoli cristiani e come comunità! Una durezza del cuore dalla quale potremo uscire se però ci lasceremo riscaldare il cuore dall’Amore e ci alleneremo nel fare gesti di misericordia. Bisogna che ci esercitiamo nell’amare: abbiamo forse dimenticato come si fa! Le opere di misericordia corporale e spirituale sulle quali rifletteremo e ci verificheremo e a partire dalle quali pregheremo, vogliono aiutarci a fare quegli esercizi: esercizi d’amore che fanno bene al cuore, che mettono in circolo l’amore e fanno vedere già in azione il regno di Dio, regno di giustizia, di amore e di pace.
Agli uomini e alle donne del nostro mondo questo amore dobbiamo annunciare e mostrare! È questa, in fondo, la spiritualità del Concilio!
«Il Concilio è stato un incontro. – ha detto il papa l’8 dicembre scorso – Un vero incontro tra la Chiesa e gli uomini del nostro tempo. Un incontro segnato dalla forza dello Spirito che spingeva la sua Chiesa ad uscire dalle secche che per molti anni l’avevano rinchiusa in sé stessa, per riprendere con entusiasmo il cammino missionario. Era la ripresa di un percorso per andare incontro ad ogni uomo là dove vive: nella sua città, nella sua casa, nel luogo di lavoro… dovunque c’è una persona, là la Chiesa è chiamata a raggiungerla per portare la gioia del Vangelo e portare la misericordia e il perdono di Dio. Una spinta missionaria, dunque, che dopo questi decenni riprendiamo con la stessa forza e lo stesso entusiasmo. Il Giubileo ci provoca a questa apertura e ci obbliga a non trascurare lo spirito emerso dal Vaticano II, quello del Samaritano, come ricordò il beato Paolo VI a conclusione del Concilio. Attraversare oggi la Porta Santa ci impegni a fare nostra la misericordia del buon samaritano» (Omelia per l’Apertura del Giubileo Straordinario della Misericordia).
Carissimi fratelli e sorelle, il Signore vuole rinnovare la nostra vita! Egli vuole che la mia vita, la nostra vita, cambi! E vuole cambiare anche la nostra Chiesa! Se non volesse questo il Suo non sarebbe un vero amore!
La misericordia non possiamo perciò ridurla a buonismo! Per cui diciamo: “non fa nulla”, e così passiamo sulle cose, lasciamo correre, diciamo che tutto va bene, facendo in modo che tutto rimanga tale e quale e niente cambi! Non è questa la misericordia: anzi, tutto è tranne che misericordia. Perché ciò che parrebbe indulgenza verso alcuni, sarebbe disinteresse o, peggio, egoismo verso altri!
Dice il papa che il “buonismo è distruttivo”! Esso, in «nome di una misericordia ingannatrice fascia le ferite senza prima curarle e medicarle; che tratta i sintomi e non le cause e le radici» (Discorso per la Conclusione della III Assemblea Generale Straordinaria del Sinodo dei Vescovi, Sabato, 18 ottobre 2014).
Si tratta invece di lasciarsi rinnovare con il suo amore. E questo ciò che Dio sogna; e questo ciò che Dio vuole. In questa opera non siamo soli! Dio è con noi:
«Non temere, Sion, non lasciarti cadere le braccia!
Il Signore, tuo Dio, in mezzo a te è un salvatore potente.
…ti rinnoverà con il suo amore!» (Sof 3,16-17).
E tu, ed io e tutti noi, diventeremo testimoni di “ciò che a Lui piace di più”: la misericordia (cfr. Francesco, Udienza Generale, 9 dicembre 2015).
Allora anche il Signore gioirà per noi!
Sì! Gioirà per te, esulterà per te con grida di gioia (cfr. Sof 3,17).
Dunque: che cosa dobbiamo fare?
Maria, la Madre della Misericordia, ce lo dice: quasi sottovoce, come a Cana: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela» (Gv 2,5).
Attingeremo acqua con gioia alle sorgenti della salvezza (cfr. Is 12,3)!