Non so perché ma pensando al Natale e ai racconti della nascita di Gesù riportati nei vangeli, più volte quest’anno mi viene di andare con la mente ad una pagina della Bibbia che leggiamo nel libro dell’Esodo. La conosciamo un po’ tutti ma ancora di più è cara e familiare ai nostri fratelli ebrei.
È la pagina detta della vocazione di Mosè!
Mosè era scappato dall’Egitto perché lì non era più possibile vivere per lui: era finito il tempo delle “vacche grasse” e ora il faraone voleva addirittura farlo uccidere! Con una grande ribellione nel cuore, pur di salvare la pelle, era stato costretto ad emigrare! Aveva lasciato ogni cosa in Egitto e ora toccava… ricominciare: trovare un lavoro e mettere su famiglia! E, in qualche modo, sopravvivere!
In fondo per lui era andata anche bene! Ora faceva il pastore e si era pure accasato! Per il suo popolo, invece, schiavo e maltrattato, ridotto ad impastare fango, paglia e lacrime, i guai sembravano destinati a continuare.
Chi legge mi dirà: bella la storia di Mosè; la conosco! Ma che c’entra questa con il Natale?
Intanto, come nel vangelo di Luca, anche qui si parla di pascoli e di armenti, di angeli e di pastori. Inoltre anche per Mosè c’è un fatto che lo sorprende mentre sta pascolando il gregge di Ietro, suo suocero! Un fatto davvero particolare, proprio come quello che avrebbe visto protagonisti i pastori in quella notte di Natale. Attraversando il deserto, era arrivato con il bestiame al monte di Dio, l’Oreb, quando ”l’angelo del Signore gli apparve in una fiamma di fuoco dal mezzo di un roveto. Egli guardò ed ecco: il roveto ardeva per il fuoco, ma quel roveto non si consumava” (Es 3, 2).
Ai pastori della Giudea “che, pernottando all’aperto, vegliavano tutta la notte facendo la guardia al loro gregge”, più o meno accadde la stessa cosa: “Un angelo del Signore si presentò a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce” (Lc 2, 8-9). Alla vista del roveto che ardeva senza consumarsi, Mosè, come attirato da un irresistibile stupore, decise: “Voglio avvicinarmi a osservare questo grande spettacolo” (Es 3, 3). Così pure i pastori, che andarono, senz’indugio, alla grotta: “Andiamo dunque fino a Betlemme, vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere” (Lc 2, 15). Arrivati alla grotta loro non trovarono il roveto ardente, ma in quel bambino, adagiato nella mangiatoia, dovettero vedere molto di più! Una scena semplice, tutto sommato normale, benché annunciata da un angelo e anticipata da altri spiriti celesti; ma per loro quella visione fu una vera manifestazione di Dio, un’esperienza di luce, un reale Avvenimento, tanto che “se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato detto loro” (Lc 2, 20).
Quel Bambino era lo stesso che nel roveto aveva parlato a Mosè! Il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, ora si faceva vedere, si mostrava senza veli e, proprio da loro, da dei poveri pastori! E non era una visione! Quel Dio era venuto ad abitare la nostra terra; a stare con noi! Veramente! Anzi, era diventato come noi! Uomo come noi! Carne della nostra carne! E il motivo vero, profondo di quella venuta era già in quelle parole che il Signore aveva pronunciato a Mosè: “Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido a causa dei suoi sovrintendenti: conosco le sue sofferenze. Sono sceso per liberarlo dal potere dell’Egitto e per farlo salire da questa terra verso una terra bella e spaziosa, verso una terra dove scorrono latte e miele (…). Ecco, il grido degli Israeliti è arrivato fino a me e io stesso ho visto come gli Egiziani li opprimono” (Es 3, 7-9). Dio è solidale con noi! Per questo viene! E viene a liberarci! Secondo un racconto ebraico, ripreso anche da alcuni padri della Chiesa, Dio appare a Mosè, nel roveto, tra le spine, per dire che Lui partecipa ai nostri dolori e condivide le nostre sofferenze!
Davanti al presepe contemplo il Bambino Gesù nella mangiatoia e sento che mi dice: Ho osservato la tua miseria…ho udito il tuo grido…conosco le tue sofferenze…sono sceso per liberarti…per portarti in una terra che è santa perché abitata da me!
Che bello! – rispondo – Dio conosce le mie sofferenze! E se ne fa carico!
E mi tornano alle mente le parole del Salmo: “I passi del mio vagare tu li hai contati, le mie lacrime nell’otre tuo raccogli; non sono forse scritte nel tuo libro?” (55, 9).
Mi tolgo i sandali, mi metto in ginocchio e gli dico: Grazie, Gesù! Sei venuto per me!
La Misericordia si è fatta carne! Lo devo dire al mondo! Anch’io! Come Mosè! Come i pastori!
Contagiati dalla tenerezza del Natale annunciamo e testimoniamo la Misericordia!
Santo Natale 2015
+ Pietro, vescovo