Dal 20 al 22 novembre si è svolto ad Assisi il Convegno Nazionale Ecumenico promosso dalla Conferenza Episcopale Italiana in collaborazione con l’Arcidiocesi ortodossa di Italia e Malta del patriarcato ecumenico di Costantinopoli, la Chiesa Apostolica Armena, il patriarcato Copto ortodosso, la Chiesa di Inghilterra, la Diocesi ortodossa Romena d’Italia e la Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia, dal titolo “Nel nome di Colui che ci riconcilia tutti in un solo corpo”. La diocesi di Ischia era rappresentata da Pina Attore e Tonia Pisano
Pina Attore – Kaire
Il saluto iniziale e l’introduzione di mons. Ambrogio Spreafico, presidente della Commissione episcopale per l’ecumenismo ed il Dialogo interreligioso della CEI, ci ha subito catapultato sui tanti passi fatti in Italia e ci ha fatto notare come, per questo convegno, pur riconoscendo le divisioni, si è cercato di lavorare su ciò che ci unisce, con tanta umiltà e soprattutto puntando alla reciprocità del dono come mutuo arricchimento delle nostre teologie: dono che ci porta a condividere la preghiera e le convinzioni. Solo l’essere dono ci rende liberi e mette la tensione all’unità in ciascuno. Ha sottolineato la centralità della Bibbia come sorgente e nutrimento della nostra vita di fede. Ha fatto notare come la Riforma del XVI secolo di Lutero ci ha aiutato a conoscere meglio la Bibbia, ancora purtroppo, poco vissuta e conosciuta. (S. Ignazio di Antiochia diceva: Ignoranza della Bibbia, ignoranza di Cristo).
E sulla scia di papa Francesco, ha attirato l’attenzione ai poveri… Un amore preferenziale che allarga i confini non solo geografici ma anche religiosi. Forse i poveri, diceva mons. Speafico, più dei documenti ci aiuteranno ad affrettare la via verso l’unità perché il grido del povero arriva più velocemente al cuore di Dio.
A seguire, lo studio biblico su Ef 2, 1-11, a cura del dr. Valdo Bertalot, ha fatto notare come il ritrovarsi attorno alla parola è un GIA’ e non un NON ANCORA. Paolo non scriveva solo agli efesini ma scrive anche a noi oggi… a tutte le nostre Chiese. La morte nel peccato ci ha diviso, la salvezza di Cristo ci unisce. Dobbiamo opporci al male insieme. E per farlo c’è una sola strada: la croce. È lì che Cristo ha sconfitto il male.
In serata, quasi come per non distoglierci da essa (intendo la croce), nella Basilica inferiore la prima sera e nella Basilica superiore di Assisi la seconda, ci sono stati raccontati tutti gli affreschi di Giotto e del Lorenzetti ed è appunto in uno di questi che, dietro a Gesù che porta la Croce, c’è una moltitudine di persone che siamo tutti noi, in cammino. Un cammino che ci invita a lavorare per la Chiesa di Cristo, ricordandoci che soltanto il Crocifisso ci ricompone in unità.
San Francesco è stato uno che ha camminato sulla strada di Cristo: un esempio per tutti noi.
Il secondo giorno si è cercato di rispondere alla domanda sul come viene realizzata da ciascuna Chiesa la vocazione ad una sempre maggiore fedeltà al Vangelo. La prof. Silvana Nitti della Chiesa Metodista ci ha fatto notare come oggi, tutti sentiamo la crisi della cultura, della storia e cosi anche delle nostre Chiese. Sappiamo tutti di essere stati salvati, vorremmo essere coerenti al Vangelo ed è giusto che speriamo di essere santificati ma è Dio che è fedele al Vangelo, non noi. La Riforma è stata utilissima nel rendere accessibile a tutti il contenuto del Vangelo e nel far realizzare la pienezza della Chiesa stessa e questo possiamo farlo lasciandoci trasformare dagli altri. Il papa vede una Chiesa aperta al mondo, che deve uscire da sé se vuole trovarsi nella novità del Vangelo e, per essere cattolici dobbiamo essere ecumenici.
La stessa cosa è stata sottolineata nel pomeriggio sia da Tovma Khachatryan della Chiesa Armena sia dal prof. Napolitano della Chiesa Pentecostale, che, raccontandoci la storia delle loro Chiese coglievano come le diversità e le pluralità siano dei metodi di lettura del protestantesimo. La riforma non è stata solo una riforma di struttura ma doveva raggiungere la persona. Bisogna puntare alla dimensione individuale come punto di partenza di un’azione anche comunitaria e sociale. Nei lavori di gruppo, tenutisi il terzo giorno, si sottolineava come in questi anni il dialogo e la comunione tra le Chiese sia cresciuto. Si è parlato di una “unità bambina” già reale tra noi e le nostre Chiese. Essa va riconosciuta, custodita, accompagnata ed evidentemente sviluppata. Tra le Chiese presenti abbiamo costruito un clima di ascolto, di confronto, di riflessione e di provocazione (qualche volta) e se ci siamo riusciti, nulla vieta che lo si possa proseguire e approfondire. Ce lo chiede il Vangelo.
Don Cristiano Bettega, Direttore dell’Ufficio nazionale per l’Ecumenismo e il Dialogo interreligioso della CEI, avvicinandosi la conclusione del Convegno, rifletteva sul fatto che a volte faremo fatica, a volte ci capiremo di più a volte di meno, a volte avremo l’impressione di viaggiare come una Freccia Rossa e altre volte come una bicicletta: ma viaggeremo, non c’è dubbio. E la meta della comunione tra noi non è solo davanti, ad attenderci: ci accompagna per strada, si fa riconoscere e gustare in mille occasioni. In questo convegno abbiamo capito che siamo chiamati a far si che “l’eredità della Riforma di Lutero diventi stimolo per una riforma costante nelle chiese” di Oriente e di Occidente. Dobbiamo aiutarci tra noi, confrontandoci e anche – se necessario- scontrandoci per capire sempre meglio quello che è veramente essenziale della chiesa; ma anche lasciarci aiutare dallo Spirito di Dio, e questo lo possiamo fare soltanto pensando e pregando insieme. Il “chiedere insistentemente” fa parte del DNA del Cristianesimo: probabilmente lo dobbiamo riscoprire sia nella sua dimensione orizzontale, tra noi, sia nella sua dimensione verticale, di preghiera e di ascolto comune della parola di Dio.
Come ci siamo lasciati?
Prima di tutto portandoci a casa non tanto un bel ricordo ma una bella provocazione: chiederci come possiamo tradurre in concreto tutto ciò e come lo possiamo portare anche agli altri. Perché si diffonda un metodo e l’Ecumenismo diventi uno stile scontato di lavoro e di vita, di annuncio e di testimonianza, è necessario inventare e costruire gesti di comunione sempre più concreti. In un mondo tanto individualista, essere cristiani può significare anche questo: essere consapevoli che siamo un “noi”, che siamo chiesa, attenta e aperta verso tutti, a partire dai poveri.